La Responsabilità

Arendt: "Molti mi hanno chiesto altri esempi di come e di quando il male possa essere banale. L’esperimento intitolato “Rhythm 0” di Marina Abramovic (avvenuto a Napoli nel 1974) lo spiega in modo impeccabile. L’artista si è seduta su una sedia legata, avendo davanti a sé un tavolo pieno di utensili (più precisamente 72). Allora si è lasciata fare tutto ciò che volevano per una notte intera. Ebbene, Marina Abramovic è uscita da quella stanza piangendo, con i vestiti a brandelli, nuda, tagliata, deturpata e abusata. Alcuni uomini le hanno scritto “End” in fronte, altri le hanno toccato il seno e la vagina, altri l’hanno tagliata. Tutto questo nell’atrofia mentale generale di tutti coloro che erano con quegli uomini nella stanza. Solo alla fine, quando un uomo le ha puntato una pistola in faccia, le donne e gli uomini fin lì fermi hanno deciso di muoversi e di aiutarla. Ma ciò non basta. Così è come era ridotta Marina Abramovic quando è uscita da quella grigia e sorda stanza. Uomini e donne banali hanno scelto di farle male o di restare indifferenti. Questa è la banalità del male. Una banalità dettata da atrofia del pensiero. Una banalità dettata dalla non considerazione delle conseguenze. Una banalità dettata da una completa deumanizzazione di Marina Abramovic. Tuttavia, un fatto mi stupisce. Marina Abramovic ha affermato ad inizio esperimento: “Durante la performance mi assumo la totale responsabilità”.Cosa ne pensate? La responsabilità doveva ricadere su di lei?"

Sartre: "Ritengo l’affermazione dell’Abramovic del tutto sbagliata. Nessuno può farsi carico della responsabilità altrui, ciascuno di noi è condannato a essere libero e a rispondere delle proprie azioni. Certo, sarebbe comodo pensarla diversamente, delegare a un altro la propria responsabilità; ciò, tuttavia, è impossibile. Per il solo fatto che esistiamo siamo costretti a prendere delle scelte. Durante la performance, dunque, ogni individuo si è dovuto confrontare con la scelta di poter recare o meno del male all’artista. Esempio lampante di malafede voler attribuire la colpa all’Abramovic!"

Levi: @Sartre "Sicuramente la colpa non ricade interamente sull’Abramovic, ma bisogna tenere conto di un aspetto. Qui siamo di fronte ad un caso limite, perché la bipartizione amico-nemico a cui siamo soliti non regge. L’artista appare come una figura piuttosto ambigua: si comporta nell’esperimento sia da vittima -subisce- sia da carnefice di se stessa -è stata lei a creare la performance e le condizioni per cui avvenisse. E’ vero che ha dichiarato di essersi assunta tutta la responsabilità del caso, ma possiamo veramente crederlo del tutto?"

Jonas: "Non sarà del tutto responsabile, ma in parte COLPEVOLE LO È. @Levi ha proprio ragione nel sottolineare questo aspetto, nell’evidenziare una certa natura perversa nell’Abramovic. Ha trascurato la paura, è andata contro ogni tipo di limite, creando una situazione senza barriere e senza restrizioni per tutte le persone che la circondavano!! Non bisogna stupirsi che si siano comportate così come hanno fatto. I Prometeo incatenati si sono improvvisamente ritrovati scatenati, senza limitazioni di alcun tipo. In tali circostanze è difficile trovare una persona che contro corrente dica che è meglio pensare al futuro e autolimitarsi nel presente."

Sartre: @Jonas "non si scaldi, la prego. Questa piattaforma è nata proprio per permettere discussioni libere e pacifiche. Non era mia intenzione deresponsabilizzare la figura dell’Abramovic, volevo solamente sottolineare come la sua affermazione sia falsa; è impossibile appropriarsi della responsabilità altrui. Non rischi, però, neanche lei di giustificare quelli che ha definito come “Prometeo scatenati”. La responsabilità comporta angoscia, certamente, ma ciò non significa che sia per noi possibile liberarci da essa; il fatto che molti spettatori abbiano provato tensione nello stare davanti alla possibilità di infliggere del male non li giustifica in alcun modo. Scegliere è sempre possibile, è necessario, è inevitabile."

Jonas: "Non voglio giustificare proprio nessuno! Penso solo che sia assai difficile opporsi rispetto a una massa egoista, capace di pensare semplicemente a se stessa. Ma è molto importante farlo, è cruciale alzare lo sguardo e indirizzare le proprie azioni avendo a mente chi verrà dopo di noi (cosa che gli spettatori non hanno assolutamente fatto). Non crede forse @Sartre che fosse proprio l’impostazione della performance a mostrare già in partenza qualche problematica?"

Sartre: "Sicuramente! Grazie della precisazione. L’esposizione in sé aveva il rischio di prestarsi a interpretazioni sbagliate. Non solo si è palesato il problema che ogni progetto che realizziamo finisce per staccarsi da noi, assumendo nuove forme e divenendo altro da noi (immagino che neanche l’Abramovic stessa fosse stata in grado di pensare a cosa avrebbe portato la sua performance), ma si è anche verificato il cosiddetto “scarto tra coscienze”: ognuno attribuisce alla realtà un significato diverso, generando differenti interpretazioni e valutazioni del mondo. Ciò rischia di generare una incomunicabilità di fondo irrisolvibile; durante la performance nulla garantiva che gli spettatori fossero in grado di cogliere il messaggio che l’Abramovic voleva trasmettere, comunicare. L’esposizione, dunque, per com’è stata pensata, incorreva nel rischio di prestarsi a errate interpretazioni."

Arendt: "Non incorriamo però nello sbaglio di trascurare il ruolo del pubblico e delle sue decisioni. Penso sarebbe interessante cercare di analizzare cosa lo abbia portato a comportarsi in tale maniera. Come già @Jonas ha sottolineato, la performance ha fatto sì che si creasse una dinamica volta a disincentivare l’intervento di ciascun partecipante."

Levi: @Arendt "Mi ha preceduto! Sono completamente d’accordo. Ritengo che si debba analizzare l’ambiguità del pubblico. Concordo con i commenti precedenti @Arendt, @Sartre: la responsabilità delle azioni di ciascuno è fortemente individuale, ma la coscienza dell’uomo all’interno della dinamica di gruppo è molto labile. Bisogna avere una certa ossatura morale per evitare di essere influenzati dall’agire degli altri e di diventare veri e propri carnefici. In questo esperimento mi sembra chiara una cosa, ovvero che una prima persona abbia iniziato ad utilizzare oggetti violenti contro l’artista, e vedendo che questa non abbia mostrato alcun segno di ribellione, anche gli altri si siano sentiti legittimati a farle del male…Questo perché l’uomo è un animale gregario, prima che essere lo zoon politikon di cui parla Aristotele: è come se facesse parte di un gregge, le cui decisioni lo influenzano.In questo caso, la responsabilità dell’evento è da ricercarsi anche nel pubblico stesso: esso ha compiuto le violenze.A proposito di quest’ultima riflessione, mi sento in dovere di riproporre anche io una domanda, a cui chiunque è invitato a rispondere se lo desidera.Che influenza ha, secondo voi @Arendt, @Sartre, @Jonas l’agire altrui su ciascuno di noi?"

Jonas: "Ha un’influenza incredibile. L’indifferenza degli uomini disincentiva l’azione degli altri. E’ come una malattia che si propaga di mente in mente. Come vedete dall’esperimento, ciascuno è immobile davanti alle turpitudini che commettono gli altri. Nessuno agisce e tutti lasciano fare. Inoltre, vivono un deficit predittivo, cioè si occupano del presente, fanno del male all’artista e questa a sua volta lascia che le facciano del male, senza considerare per nulla il futuro. Non tutto è reversibile e le azioni sono cumulative, anche nel loro male. HANNO SBAGLIATO TUTTI, sia la Abramovic a invischiarsi in un esperimento simile, sia gli spettatori che si sono lasciati influenzare dall’indifferenza altrui, senza pensare al futuro e senza pensare che le cose che facevano, facessero veramente male. Guardate com'era ridotta!"

Levi: "Ma cosa accade allora in assenza di limiti secondo voi e fino a dove può spingersi l’agire dell’uomo in condizione di totale libertà?"

Arendt: "Ottima domanda @Levi, la ringrazio per il suo vivo interesse e per aver spostato l’attenzione su una questione così importante! Tenterò anche io di condividere la mia riflessione. Innanzitutto vorrei sottolineare come situazioni prive di qualsiasi tipo di limite si verifichino nella condizione di atrofia del pensiero, già da me citata. Questo è veramente un passaggio fondamentale, fate attenzione! Nel momento in cui non ci sono limiti, siamo noi a dover riflettere sulle nostre azioni e ad agire con coscienza. Ne parlai nel mio romanzo “la banalità del male”, studiando il caso Eichmann. Egli cessò di far uso delle proprie facoltà razionali, vedendosi come un uomo che eseguiva ordini, deresponsabilizzandosi completamente. Tagliò ogni tipo di legame con la realtà, non facendosi più toccare da essa. Il male è banale, facilmente si può incorrere in esso quando si sopprime il pensiero, arrivando a commettere le più grandi atrocità. Perché sì, nell’esposizione da me riportata i risultati, seppur gravi, non hanno condotto alla morte dell’artista, ma il caso Eichmann esemplifica benissimo che cosa l’uomo sia capace di fare. Gli spettatori, in maniera assai ridimensionata, sono stati proprio come lui: hanno smesso di pensare di aver davanti a loro una donna, finendo per non prendere una posizione rispetto a quello che stava accadendo e lavandosi poi le mani dell’accaduto. Essi avevano la libertà di scegliere, non stavano rispondendo a nessun obbligo! Gli esseri umani sono proprio banali e la realtà non smette mai di dimostrarci con quanta facilità essi commettano il male."

Levi: "Grazie @Arendt per la tua riflessione! Ma io sono portato a pensare, spinto anche dalla mia personale esperienza, che gli uomini agiscono slegati dalla realtà e non considerano l’altro o le conseguenze del loro comportamento anche in base ad un’ulteriore condizione: quando si trovano di fronte alla possibilità di ottenere un potere fino ad allora non garantito. L’abbaglio del potere, come nei campi di concentramento, legittimava i frustrati (ovvero coloro che sentivano di aver fallito e covavano un senso di vendetta e di rivalsa) a comportarsi evadendo ogni limite e a vendicarsi direttamente sugli altri prigionieri, così, anche in questo caso, alcuni frustrati tra il pubblico debbono aver considerato l’opportunità di prevalere sugli altri e di avere la possibilità di fare “tutto ciò che ritenevano opportuno”."

Sartre: "Riflettendo ulteriormente sulla questione, a partire da quello che lei ha detto @Levi, penso che gli spettatori siano sì stati in grado di commettere quello che hanno fatto per un certo abbaglio di potere, ma soprattutto per un fattore "disumanizzante". Cerco di spiegarmi meglio, scusatemi. Ho precedentemente definito la coscienza in una mia opera come potenza nullificatrice. La realtà non ha un significato in sé, anzi è neutrale e opaca. La realtà viene da noi trascesa e caricata di significato. In questo caso, penso che l’unica modalità che abbia permesso di commettere tali crudeltà sia consistita nel considerare la Abramovic come un oggetto. Privandola della sua umanità e della sua capacità di provare sentimenti, allora è stato sì possibile farle del male. Fatico altrimenti a trovare altre spiegazioni. L’uomo si spinge oltre i suoi limiti quando attribuisce un significato alla realtà che gli permetta di considerare gli altri non più come uomini e individui ma come meri oggetti, esseri completamente privati della propria vitalità."

Arendt: "Pensi che era proprio l’intenzione dell’Abramovic! Lei stessa in un’intervista ha affermato di avere l’obiettivo di offrire il proprio corpo come oggetto. Sicuramente il meccanismo sorto nel pubblico da lei descritto non è nato intenzionalmente; l’inconscio degli spettatori ha trovato come unica via possibile quella di deumanizzare il soggetto che avevano davanti. Però molto particolare notare come questo fosse l’obiettivo principale per l’artista! Perversione o genialità? Volevo nel frattempo cogliere l’occasione per ringraziare i diversi spunti di riflessione offerti! Spero che la discussione possa procedere con la stessa serietà ed educazione con cui l’abbiamo portata avanti."


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